Parkinson: nuove cure e nuovi dispositivi

Prof. Fabrizio Stocchi

Prof. Fabrizio Stocchi

La ricerca su nuove cure e nuovi dispositivi per il trattamento della malattia di Parkinson è in continuo avanzamento. In prima linea su vari fronti, su questo settore, è il Centro di Ricerca sul Parkinson e sui disturbi motori dell’Università e IRCCS San Raffaele di Roma diretto dal Prof. Fabrizio Stocchi. È proprio quest’ultimo, in un’intervista rilasciata ad Azione Parkinson, a offrire una panoramica sulle novità in imminente arrivo e sulle ricerche in corso.


Due farmaci di imminente introduzione sul mercato
Il Prof. Stocchi inizia il sommario su dove si sta muovendo la ricerca per la cura del Parkinson citando due farmaci che erano in fase avanzata di sviluppo negli anni scorsi e che sono giunti a “felice conclusione”. «Il primo è l’IPX066 (Rytary)» afferma il neurologo. «Si tratta di una carbidopa/levodopa a lento rilascio che ha completato il suo iter registrativo, è stata approvata dall’Fda ed è attualmente in commercio negli Stati Uniti. Adesso è stata approvata anche in Europa ma non è ancora commercializzata».
«Questa levodopa» prosegue «è interessante perché ha una durata d’azione di circa 5 ore rispetto le 2 ore scarse delle formulazioni di levodopa che abbiamo disponibili in questo momento. È un aspetto molto positivo. La molecola – dell’americana Impax e probabilmente commercializzata in Europa da Britannia – potrebbe essere il prossimo farmaco ad arrivare sul mercato dopo il recente ingresso di safinamide».
Un altro farmaco di cui già si era parlato era un nuovo inibitore COMT: l’opicapone. «Anch’esso ha terminato il suo percorso registrativo ed è stato approvato dall’EMA» spiega Stocchi. «Anche questo farmaco – prodotto da una piccola azienda portoghese chiamata Bial – è già in commercio in Inghilterra e Germania e dovrebbe arrivare in Italia nel 2017».

Studi attualmente in corso
Al momento in fase avanzata di sperimentazione (fase III) abbiamo una nuova interessante formulazione di levodopa chiamata Accordion pill. Questa preparazione è in grado di assicurare livelli plasmatici stabili di levodopa molto lunghi circa 6-8 ore. Il suo utilizzo porterebbe a una netta riduzione delle dosi giornaliere e una riduzione delle fluttuazioni ON-OFF.
Abbiamo poi in studio (fase III) due diversi bloccanti dell’adenosina: istradefillina e tozadenant» continua Stocchi. Queste molecole sono in grado di stabilizzare il sistema cerebrale coinvolto nella malattia ed assicurare al paziente maggiore efficacia della levodopa e periodi di ON più prolungati.
Sempre in fase III abbiamo poi due prodotti per la “rescue therapy” ovvero prodotti che presi al bisogno possono risolvere la fase OFF in pochi minuti. «Riguarda un film sottolinguale con apomorfina. Il paziente applica questa pellicola sotto la lingua e nel giro di una decina di minuti si sblocca. Potrebbe essere una risorsa estremamente positiva». L’altra è una levodopa che può essere inalata, quindi viene assorbita attraverso i polmoni dando un rapido effetto. 

Nuove modalità e vie di somministrazione
La ricerca di cui si occupa il Centro diretto da Stocchi non si limita allo sviluppo di farmaci, ma anche di soluzioni alternative di somministrazione. Ecco un esempio molto significativo. «Abbiamo concluso uno studio molto interessante con un device che libera continuamente la levodopa in forma liquida all’interno della bocca» spiega. «È una sorta di ‘micropompetta’ che si applica sul dente e rilascia in continuazione levodopa, eliminando il problema dell’effetto della somministrazione pulsatile».
Riguardo a questo dispositivo, precisa Stocchi, «è stato condotto uno studio di fase II, davvero promettente perché effettivamente la farmacocinetica è risultata valida. Poi naturalmente occorre verificare l’effettiva efficacia clinica del dispositivo. Ciò che si può certamente affermare fin d’ora è che dal punto di vista dell’idea e della farmacocinetica il sistema funziona. Come filosofia di fondo può essere avvicinato al gel intestinale, con la differenza che è un metodo molto più semplice e pratico da utilizzare».
Sempre su questa linea il team di Stocchi ha iniziato uno studio con un’infusione sottocutanea (e non intradudodenale) di una particolare formulazione di levodopa prodotta dalla Isdreliana Neuroderm «Questo è un approccio rivoluzionario» sottolinea «perché fino a oggi la levodopa non era mai stata somministrata per questa via. Quindi abbiamo grandi speranze che la metodica funzioni perché rappresenterebbe un fatto molto positivo».

Il futuro della terapia del Parkinson: gli anticorpi monoclonali
«L’obiettivo in cui tutti speriamo sono gli anticorpi monoclonali per bloccare l’alfa-sinucleina: questo potrebbe essere il futuro della terapia del Parkinson perché se si riesce a bloccare la formazione e la replicazione dell’alfa-sinucleina ciò equivarrebbe a bloccare l’agente patogeno responsabile della morte cellulare» afferma Stocchi. Ci sono due aziende che oggi sono più avanti delle altre riguardo questi anticorpi monoclonali: una è la Roche e l’altra è Biogen. «Hanno già concluso la fase I e speriamo di poter iniziare la fase II in primavera» auspica.
Ma rimanendo sull’alfasinucleina abbiamo iniziato uno studio per capire che ruolo gioca la flora batterica intestinale nella penetrazione dell’alfasinucleina. Sembrerebbe che una variazione del microbiota intestinale favorirebbe la penetrazione dell’agente infettante (appunto L’alfasinucleina).
La Brystol-Myers Squibb ha un anticorpo monoclonale per la proteina tau. «Tale anticorpo potrebbe per la prima volta permettere di trattare i pazienti con paralisi sovranucleare progressiva (PSP), che è un Parkinsonismo molto grave pur non essendo la malattia di Parkinson: si tratta di una malattia rara e una patologia orfana» spiega Stocchi. «Sulla linea degli anticorpi monoclonali la stessa azienda avrebbe sviluppato anticorpi monoclonali per le taupatie, estremamente importanti perché i pazienti che ne sono affetti non hanno terapie al momento».
«Le taupatie» specifica lo specialista «sono patologie selettive che riguardano la proteina tau, attualmente considerate come tre espressioni della stessa malattia: la demenza fronto-temporale, la degenerazione cortico-basale e la PSP. Se effettivamente si riesce a bloccare la proteina tau sarà possibile curare o quanto meno rallentare queste forme».
La malattia di Parkinson è una patologia cronica con la quale si può convivere, conclude Stocchi, grazie alle terapie farmacologiche ma anche alla fisioterapia all’esercizio fisico ad una buona dieta. Sulla dieta vorrei solo dire di non privarsi delle proteine, di mangiare a pranzo cibi soprattutto digeribili e che pazienti che non assumono levodopa o non hanno fluttuazioni non devono seguire alcuna dieta.
I pazienti parkinsoniani possono e devono fare una vita normale, non abbandonare lavoro hobby e frequentazioni non rinunciare a vivere. Il manuale “Slow Life” cha abbiamo presentato in occasione della giornata dedicata alla malattia di Parkinson contiene una serie di consigli pratici proprio per meglio affrontare la malattia.
La ricerca lavora alacremente per ottenere sempre nuove e migliori terapie sono fiducioso che presto si potrà vivere ancora meglio con questa malattia e magari guarirla, speriamo presto.

Prof. Fabrizio Stocchi
Direttore del centro di ricerca sulla malattia di Parkinson
presso L’Università e
IRCCS San Raffaele di Roma

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4 commenti

  1. articolo interessante, ilProf.Fabrizio Stocchi é stato molto esplicativo sulla cura presente e futura della malattia del Parkinson, speriamo che presto si possa arrivare a inibire questa malattia invalidante attraverso questi nuovi metodi farmacologici e chirurgici.

  2. Nuova malata di parkinson (2 anni) il suo articolo mi ha dato speranza per il mio futuro. Posso solo ringraziare tutti voi che continuate a
    fare ricerche su questa malattia e per noi malati che speriamo.

  3. gennaro daniele

    sono triste scusate

  4. Ho letto l’articolo del prof. STOCCHI in data odierna cioè dopo 6 anni dalla sua pubblicazione.
    Nel frattempo come si sono evolute le promesse elencate dal professore?

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