Cari amici,
non so se capiti anche a voi, ma a me, nonostante i 30 anni di Parkinson, succede – sebbene sempre più raramente – di svegliarmi con qualche strana idea per la testa. Dirò meglio: più che di un’idea vera e propria si tratta di una disposizione d’animo che, incurante della cruda realtà mi porta alla mente, al cuore, ai sensi ricordi lontani che credevo perduti: certe mattine estive fragranti di erba e di sole della mia adolescenza.
Allora, ancora incerta tra il sonno e la veglia, mi lascio invadere dal profumo di quei ricordi felici. Uno in particolare, quello di terra bagnata che saliva dal viottolo pietroso che, spesso trasformato in ruscelletto da un acquazzone recente conduceva, tra risate e schizzi, le mie cugine e me alla nostra meta quotidiana: un molo di pietra che, dividendo in due una spiaggetta sassosa e deserta, si protendeva nelle calme acque del Lago Maggiore.
Di quelle mattinate felici mi rimane il senso di fusione estatica con la natura. La gioia pura ed incontaminata che in certi momenti benedetti nasce senza un perché, incurante delle paure, ansie e malinconie che tanto spesso si accompagnano a questa malattia. E insieme a quell’esperienza di gioia, quella facoltà di evocarla che tutti siamo destinati a perdere. E tanto più precocemente, quanto prima all’incanto di un raggio di sole nel cielo azzurro e terso di un mattino lombardo, inizio di lunghe vacanze sospirate e attese si sostituiranno le due settimane “tutto compreso” in un paradiso tropicale. Con tanto di “animatori” per farci divertire ovvero per prestarci – il tempo di un giuoco in piscina – la caricatura di quell’”anima” che molti di noi non sanno neanche più di avere.
Avere il Parkinson non è una condanna automatica a un umore perennemente grigio: io credo che ogni tanto possiamo permetterci di dimenticare questo corpo che tanti fastidi ci dà e richiamare alla mente momenti felici del nostro passato. Senza rimpianti per giorni che non torneranno più, ma grati di averli pur sempre vissuti, patrimonio inalienabile della nostra memoria.
Lucilla Bossi